16-Lug-2021 - IL PUNTO DI PAOLO UGGE'

IL PUNTO di Paolo Uggè

Roma, 16 luglio 2021

Sembra che alcuni personaggi traggano un particolare diletto nel mettere in difficoltà le imprese e i cittadini italiani. Cominciamo affrontando il tema della diffusione della variante “delta” del virus, un tema intorno al quale si è sollevato un allarme, a mio modo di vedere, decisamente sproporzionato. Vediamo perché.

In queste ultime settimane parrebbe che questa variante, che colpisce in particolare coloro che non hanno provveduto a vaccinarsi (Il 90% circa dei positivi appartiene a questa categoria), stia stimolando la fantasia di esperti, virologi e uomini di Governo che provano ad immaginare nuove limitazioni, anche il possibile ritorno alle zone colorate, coprifuoco e quant’altro sembra essere utile a paralizzare le attività che invece stanno lentamente riprendendo. Queste scelte sembrano non tenere in considerazione quella che, ritengo, sembra essere invece una valutazione saggia della situazione. L’elemento da considerare non può essere il rapporto tra i tamponi ed i positivi, bensì il grado di congestione degli ospedali e delle terapie intensive e del numero di ricoveri determinati dal virus, oltre che dei decessi. Forse qualcuno si dimentica che l’elemento principale che ha fatto scattare le limitazioni è stato proprio il riempimento degli ospedali che rendevano problematico praticare interventi terapeutici a coloro che venivano colpiti dalle “comuni” patologie. Oggi non è più così ed i rapporti mi pare dicano altro. Introdurre nuovi divieti rischia di avere un impatto disastroso su tante attività e soprattutto su tanti piccoli imprenditori. Né si può accettare una situazione nella quale l’esercizio della libertà di movimento sia condizionato dall’essere in possesso o meno del Covid pass, visto che vi sarà una percentuale significativa della popolazione che, non avendo ancora avuto accesso al vaccino, non potrà ottenere tale certificato.

Nuove imposizioni e divieti potrebbero generare turbative sociali non indifferenti. Ipotesi che deve tener conto anche dei dati economici nei quali si trova il sistema Paese e la stessa Europa.

I dati Istat attestano che, dopo cinque mesi di crescita congiunturale, la produzione industriale diminuisce e rispetto al febbraio 2020 (mese antecedente l’inizio dell’emergenza sanitaria) a maggio 2021 il livello dell’indice è risultato inferiore dello 0,8%.

Se poi si va ad indagare su quali siano i settori e le aree più colpite dalla crisi, si scopre (sempre dai dati Istat) che i territori del centro nord sono stati quelli maggiormente danneggiati, avendo registrato una contrazione del Pil pari al 9,1%, contro l’8,8% del centro e l’8,4% del sud. Non c’è da festeggiare soprattutto per il settore dei Trasporti, del Commercio e Telecomunicazioni che risultano essere i più interessati dalle conseguenze sia in termini di Pil che sul piano occupazionale.

In una situazione così complessa, appare quantomeno intempestiva la decisione della Commissione europea di ridurre entro il 2030 le emissioni di Co2 del 55% rispetto ai livelli del 1990.

Il tema dell’inquinamento è delicato e può divenire un fattore decisivo nel favorire la competitività di alcuni Paesi a scapito di altri. Come ho avuto la possibilità già di evidenziare, anche attraverso comunicati stampa, gli USA, la Cina e l’India in fatto di partecipazione alla produzione dell’inquinamento non debbono prendere lezioni da nessuno. Proseguono con i loro progetti e sistemi produttivi, senza preoccuparsi del fatto che l’inquinamento che generano si estende nell’atmosfera e colpisce l’intero globo. Ma su questo la posizione della Commissione europea mi sembra piuttosto timida.

Da cosa scaturisce questo atteggiamento così comprensivo e conciliante, questa “doppia morale” in merito alle questioni ambientali? Sarà perché esiste anche qualche Paese europeo che ha utilizzato, e forse ancora utilizza, il carbone, che certo non si annovera tra le fonti energetiche ecologiche? O sarà perché con la Cina si stanno costruendo rapporti economici importanti, nonostante il governo di Pechino assommi, alla violazione dei protocolli ambientali, anche sistematiche violazioni dei diritti umani? Non dimentichiamo, inoltre, che la Cina, essendo produttrice quasi unica del litio, indispensabile per le batterie elettriche, trarrà particolare giovamento dall’autolesionismo che si intravvede nelle scelte assunte dalla Commissione europea. A pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca.

Domandarsi se siamo in presenza di una classe politica che gioca a farsi male, o meglio a danneggiare l’economia delle nostre comunità, mettendo in gravi difficoltà i livelli occupazionali, credo sia comprensibile. Così come dovrebbe essere facile da constatare che nessuno di coloro che hanno effettuato queste scelte potrà essere, in modo diretto, contestato. Fissare degli obiettivi a lungo termine è una strategia per far vedere che ci si occupa dei problemi ma senza doverne rendere conto o pagare in termini di dissenso i danni causati. Auguriamo lunga vita a tutti i promotori di questa programmazione politico-economica, ma molti di loro, alla sua scadenza, saranno su qualche panchina ai giardini pubblici a dar da mangiare ai piccioni.

Al fine mi permetto di porgere una domanda a coloro che rappresentano il nostro Paese nel consesso europeo. Sono coscienti del meccanismo che si potrebbe innescare se il Parlamento non bloccherà questa scelta che definire autolesionistica non è un’iperbole?

In un momento nel quale si dichiara di voler far ripartire l’economia europea e nazionale, si fanno annunci che innescano dubbi e perplessità. Chi intenderà rischiare di investire ancora delle risorse? Chi si azzarderà a prenotare le vacanze in un Paese che pensa di introdurre ancora divieti o zone a diverso colore?

Risulta evidente che l’insieme delle questioni accennate produrrà ulteriori chiusure di imprese, negozi e attività turistiche. Molti dei nostri imprenditori hanno levato il monito: “se ci limitate ancora senza ragione non riapriremo più”. I consumi e la produzione caleranno e con essi i trasporti. Probabilmente tale evoluzione non toccherà chi ha trasferito la propria sede all’estero, ma la nostra gente rischia di pagare lo scotto di scelte che forse è stato necessario adottare per far sì che l’Italia potesse ottenere le risorse stanziate dalla Commissione europea. Il “do ut des” è spesso praticato in politica, ma è bene non esagerare se non si vuole che il Paese finisca nel baratro.

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